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Pittule


Le ‘Pittule’ sono delle palline di pasta lievitata morbida e fritte in olio caldo…

Nel Salento vi è ancora l’usanza di festeggiare ‘San Martino’ ritrovandosi tra amici e parenti e, secondo la tradizione, la prima frittura delle ‘Pittule’  avviene proprio l’11 novembre giorno in cui termina il periodo di fermentazione del mosto, quindi l’arrivo sulle mense del vino nuovo o novello.

Di seguito vi sveliamo qualche segreto per ottenere delle ‘pittule’ perfettamente Salentine:

INGREDIENTI:

500 g Farina 00

500 g Farina di Grano Duro

Lievito di Birra (25 g)

Acqua (q.b.)

Sale (q.b.)

Olio extra vergine di Oliva

PREPARAZIONE:

rendere una ciotola capiente e metterci la farina ed il sale. Prendere l'acqua tiepida ed il cubetto di lievito. Formare un piccolo spazio con la farina al centro della ciotola e versare l'acqua. In questa 'fontanella', sciogliere il lievito. Iniziare ad impastare gli ingredienti fino ad ottenere un composto liscio e molto morbido. Ora possiamo procedere a far lievitare l'impasto, questa è una fase molto importante per la buona riuscita delle 'Pittule'. Nonna Tetta consiglia di coprire la parte superiore della ciotola con il cellophane ed avvolgerla in una coperta di lana. La nuova generazione invece copre la parte superiore con il cellophane e poi mette la ciotola nel forno, naturalmente spento. Lasciare lievitare l'impasto almeno 3 ore, ma per essere sicuri della giusta lievitazione, le dimensioni dovranno essere raddoppiate.

Ora abbiamo due soluzioni per friggere le 'Pittule':

'Nonna Tetta':

Quando l'olio è caldo al punto giusto (Nonna Tetta non ha bisogno di fare un controllo, se voi ne avete bisogno leggete la soluzione 'Nuova Generazione'), prendere un pò d'impasto nella mano destra (o sinistra se siete mancini) e stringere il pugno in modo che l'impasto fuoriesca tra il pollice e l'indice, una volta formata la 'pallina', staccare con l'indice sinistro e fatela cadere direttamente nell'olio bollente. Le vostre 'Pittule' saranno pronte quando il colore sarà 'dorato'.

'Nuove Generazioni':

Quando l'olio è caldo al punto giusto (immergere una piccola quantità d'impasto e se si 'rosola l'olio è pronto'), prendere con un cucchiaino, un pò di pasta (dare una forma sferica) e far cadere nell'olio bollente; di tanto in tanto bagnare con dell'acqua il cucchiaino in modo che l'impasto non si appiccichi. Le vostre 'Pittule' saranno pronte quando il colore sarà 'dorato'.

Se preferite arricchire l'impasto, quando amalgamate tutti gli ingredienti potete aggiungere il cavolfiore lesso o le cime di rapa lesse o il baccalà o la ricotta o le olive nere.

Se invece le preferite dolci, potete inzupparle nel vincotto o nel miele.

PURPU ALLA PIGNATA

“Lu purpu alla pignata” è un piatto della tradizione salentina diffusissimo fin dai tempi antichi. Come dice Nonna Tetta, ‘la morte te lu purpu ete la pignata’ (la morte del polipo è alla pignata). Effettivamente il miglior modo per cucinare il polipo è alla pignata, cioè in una pentola di terracotta anticamente adatta alla cottura su fuoco vivo. Per prepararlo seguite i vari passaggi, ma soprattutto i consigli.

INGREDIENTI:

1 polpo

12 pomodori maturi

2 ‘spunzali’ (cipolla porraia)

1 spicchio d’aglio

1 mazzetto di prezzemolo

2 foglie di alloro

pepe in grani

peperoncino

olio evo qb

sale

PREPARAZIONE:

Prendere il polpo, tagliare a pezzetti e sciacquare.

In una pignata (o in una semplice pentola di terracotta) mettere insieme lo spicchio d’aglio, gli ‘spunzali’ tritati, i pomodori tagliuzzati, il prezzemolo tritato, il pepe nero in grani, le due foglie di alloro, il peperoncino, olio e mezzo bicchiere di acqua.

Portare ad ebollizione, cuocere per dieci minuti ed aggiungere il polpo che dovrà cuocere ‘con la sua stessa acqua’ per circa un’ora a fiamma bassa, fino a quando diventerà tenero e saporito

La Storia di Nonna Tetta: Uno dei più famosi detti popolari sul polpo è senza dubbio “lu purpu se coce cu ll’ acqua soa stessa”, cioè “il polpo si cucina con la sua stessa acqua”, questo perché effettivamente nel cucinare il polpo non si ha bisogno di aggiungere acqua. Per metafora, il detto viene anche usato per indicare che una persona un po' testarda può imparare solo dai suoi errori.